Pellet e legna finiti, Italia senza scorte: cosa sta succedendo

Pellet e legna, tra i combustibili preferiti per il riscaldamento alternativo, stanno finendo: ecco cosa sta succedendo.

Pellet e legna sono tra i combustibili preferiti dagli italiani per il riscaldamento alternativo, in particolare quello a biomassa.

pellet e legna
Pixabay

La recente crisi energetica ha però spinto i prezzi della legna in alto, ma non solo. La domanda è arrivata al punto che i produttori non riescono più a farci fronte. Come è stato possibile arrivare a questo punto? E cosa può fare il governo per sistemare una situazione così critica, tra scorte finite e prezzi fuori controllo?

Le cause della crisi

Per capire perché pellet e legna da ardere stanno finendo, bisogna capire la crisi energetica che l’Europa sta attraversando. Tutto comincia un anno fa, con la fine dei lockdown e la ripresa economica post pandemia. Le imprese riprendono a lavorare e a consumare energia allo stesso tempo, e la domanda di energia sale, così come il prezzo. Il principale modo di creare energia elettrica in Italia è tramite le centrali termoelettriche a gas.

Il prezzo del gas inizia quindi a salire, ma a febbraio accade un’altro imprevisto. La Russia invade l’Ucraina, e al contempo l’occidente pone sanzioni su Mosca per frenarne l’avanzata e inizia ad aiutare economicamente il paese invaso. Per tutta risposta la Russia, con varie scuse, taglia le forniture di gas all’Europa, aumentando arbitrariamente il prezzo del combustibile.

Il nostro paese, pur tagliato fuori dalle forniture russe di recente, non avrà problemi di scorte di gas grazie ai nuovi accordi firmati dal governo Draghi. Ma il prezzo è deciso a livello internazionale e, senza l’offerta russa, sta salendo vertiginosamente. Per questo molti italiani hanno scelto di riscaldarsi in parte o soltanto con pellet e legna, utilizzando gli impianti presenti in molte abitazioni.

Pellet e legna, prezzi e interventi del governo

Così la domanda per i combustibili a biomassa è schizzata alle stelle, e con essa i prezzi. Se prima un sacco da 15 chili di pellet costava 5 euro, ora arriva a costare il triplo, quasi un euro al chilo. Si calcola che servano circa 150 sacchi da 15 chili per superare un inverno con una caldaia a pellet per un appartamento di 80-90 metri quadri. Stesso destino è toccato alla legna da ardere: un quintale di faggio costava 170 euro, ora tocca i 300.

I produttori sono alle strette. Il pellet è complesso da creare partendo dal legno vergine, e non è possibile aumentare la produzione di scarti di lavorazione e legno di recupero, le altre due materie prime da cui i trucioli pressati vengono prodotti. La produzione di legna è frenata, oltre che dalle regolamentazioni, dal fatto che la legna da ardere deve in vecchiare per un certo periodo, uno o due anni a seconda del legname, prima di essere bruciata in maniera efficiente.

Non potendo aumentare l’offerta di un prodotto così poco elastico, i produttori chiedono un intervento del governo. In molti vedono nell’esempio spagnolo una linea guida. In Spagna infatti il governo ha tagliato l’IVA sulle biomasse per il riscaldamento. Una diminuzione del 20% non contrasterebbe certo gli aumenti del 100% o del 200% che si sono verificati, ma sarebbe un aiuto a consumatori e produttori.

Il problema è che difficilmente il governo Draghi, uscente e a camere sciolte, potrebbe intervenire senza polemiche spendendo denaro. Toccherà al prossimo governo scegliere, ma difficilmente questo si formerà prima della fine di ottobre.

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